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Trapianto di staminali, nuovi passi avanti

La rivista Neurology pubblica i risultati di uno studio incoraggiante su 12 pazienti gravi curati a Genova con l’autotrapianto di midollo osseo. Rispetto alle terapie tradizionali, le condizioni sono migliorate. Progressione più lenta della malattia

di Agnese Codignola

Per i malati di sclerosi multipla più gravi, che non rispondono alle terapie, e che sono in peggioramento, il trapianto di cellule staminali proprie, analogo a quello che si fa in caso di tumori del sangue (il cosiddetto trapianto di midollo), potrebbe rappresentare una soluzione più efficace rispetto a una terapia farmacologica immunosoppressiva.

Da quasi vent’anni, in casi molto selezionati, nei centri più all’avanguardia, si pratica il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, cioè estratte dal midollo osseo, trattate e reinfuse perché in grado di ricostituire gli elementi del sangue, ma pochi erano, finora, gli studi di una certa consistenza e condotti secondo gli schemi più severi, che prevedono una randomizzazione, cioè il trattamento di pazienti in condizioni simili con due terapie diverse. Per questo i dati pubblicati sulla rivista Neurology da Giovanni Mancardi, dell’Università di Genova, sono ritenuti importanti. Finora erano state pubblicate per lo più casistiche isolate e senza confronti.

Nello studio pubblicato l’11 febbraio – un trial cinico di fase II - sono invece contenuti i dati relativi a 21 pazienti che erano già costretti a ricorrere a un bastone per camminare, e che sono stati trattati con un’immunosoppressione farmacologica, e poi sottoposti a trapianto (12 di loro), oppure a una cura con mitoxantrone (i restanti 9), altro farmaco ad azione immunosoppressiva. Tutti sono poi stati seguiti per quattro anni.

Il trapianto consiste in un’immunosoppressione seguita dal prelievo di cellule di midollo osseo. Queste cellule vengono a loro volta sottoposte a immunosoppressori, con lo scopo di azzerare la presenza di cellule del sistema immunitario (tra le quali vi sono quelle responsabili della reazione autoimmune che porta alla sclerosi multipla), e quindi reinfuse nel paziente, dove iniziano a riscostituire un sistema immunitario nuovo. Trattandosi di cellule dello stesso malato, non ci sono problemi di rigetto, anche se tutta la procedura è delicata e non esente da rischi, soprattutto di infezioni anche gravi.

Secondo quanto riferito, coloro che sono stati curati in questo modo hanno avuto una riduzione dell’80% delle cosiddette lesioni in T2 (cioè lesioni cerebrali visibili con la risonanza magnetica e utilizzate per valutare la progressione della malattia: in media ne hanno avute 2,5, contro le 8 del gruppo trattato con il mitoxantrone). I pazienti curati con il trapianto hanno mostrato anche una diminuzione delle lesioni cosiddette “captanti gadolinio” (un altro termine tecnico per misurare, con la risonanza, il progredire della malattia): nessuno dei trapiantati ne ha avute, contro il 56% degli altri. Gli effetti indesiderati sono stati quelli attesi e noti da molto tempo, e quindi trattabili da parte dell’équipe medica. Spiega Luigi Mancardi ad Assedio Bianco: «L’importanza di questi dati risiede nella loro numerosità e nella randomizzazione: ora si può dire che, in questi malati, il trapianto è più efficace rispetto alle cure farmacologiche. Va sottolineato che non si tratta di un approccio che può andare bene per tutti, perché il procedimento è lungo, costoso e complesso, e rischioso, essendo caratterizzato da una mortalità attorno all’1,5%. Inoltre occorrono centri ad altissima specializzazione, con le strutture adeguate e il personale debitamente formato. Tuttavia, se ci sono tutte le condizioni, può rappresentare una valida opportunità per i malati più gravi».

Per giungere a un inserimento nelle linee guida e nei protocolli internazionali di trattamento, occoreranno tuttavia numeri più ampi e uno studio di fase III. Conclude Mancardi: «L’idea è quella di reclutare non meno di 500 pazienti, tra le due sponde dell’Atlantico, in modo da giungere a protocolli uniformi e definiti in base a dati molto consistenti». ’

Data ultimo aggiornamento 11 febbraio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: sclerosi multipla, trapianto di midollo



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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